Dunque, il Natale. Compito facile raccontare il Natale in Calabria.

È il Natale dei dolci, del miele, delle mandorle, dei fichi e del cioccolato, del torrone a volontà.

È il Natale del sole; ché qui l’inverno vero inizia a gennaio. A volte, ha perfino il calore dello scirocco, a volte il gelo pungente della neve tra l’Aspromonte e la Sila. E a volte ha tremato questo nostro Natale, in ricordo forse della sciagura nei giorni delle feste di più di cento anni fa.

Dunque il nostro Natale è quello di tanti, con le luci, l’albero e il Presepe.

E già il Presepe, il simbolo più vero, così adatto alla Calabria, con il bue, l’asinello, la Madonna, Giuseppe e Gesù Bambino. Così simile ai piccoli paesi delle nostre montagne, con le strade strette, i pastori, le ciaramelle, la gente semplice, dai gesti misurati, dai piccoli doni… che si avvicinano alla capanna, spiando il prodigio.

Nella notte più lunga dell’anno, il sentore di morte dell’inverno è subito sfatato dal miracolo di una nuova vita: la nascita che arriva come una sorpresa inaspettata, un dono per tutti.

E, allora, questo nostro Natale del tempo pandemico scegliamo di raffigurarcelo con un volto ben preciso, un volto antico e bambino insieme, un volto che ci racconta e ci assomiglia.

È l’incantato, il “meravigliato della grotta”, quello di cui si ride, l’ingiuria popolare e benevola: il povero pastore più povero di tutti, che non ha nulla da portare alla sacra famiglia, solo il suo sguardo sorpreso, il suo stupore felice, il suo piccolo atto di gioia di fronte alla vita che torna. Che sempre ritorna.

Buon Natale, calabresi di Calabria e del mondo, siate ancora e sempre dei “meravigliati”.