Pensate a una pasta calabrese. Cosa vi viene in mente? E perché proprio i fileja?

Le sue caratteristiche sono: l’assenza di uova, poiché anticamente queste erano destinate ad altre preparazioni, e l’uso della semola di grano duro, per ottenere una pasta ruvida, in grado di trattenere i sughi, generalmente di maiale o di capra, ma le varianti dei condimenti sono infinite.

I fileja sono un piatto antico e povero tipico della zona di Tropea e del promontorio del Poro, ma è facile trovarli in quasi tutta la Calabria anche se con nomi diversi, per realizzarli è necessario “u dinaculu” cioè un bastoncino di qualche millimetro prodotto da una pianta locale che si chiama Gutamara (sparto).

Esiste un’altra variante dei fileja che si chiama “i fileja masculi” che non vengono “filati”. Questo perché, a volte, la massaia non aveva tempo per la preparazione tradizionale.

Come piatto tipico di Tropea, i fileja vengono proposti con il sugo alla nduja. Ma nell’area del Poro sono tantissime le sagre che vedono questa tipologia di pasta condita con fagioli o salsicce, ma anche ceci o melanzane.

I fileja vengono chiamati anche “maccarruni” che potrebbe risalire al latino maccare, che significa schiacciare, o dal greco makaria, impasto di orzo e acqua.  La patria è senz’altro il Sud Italia e, ancora oggi, questo cibo semplice rappresenta uno degli alimenti base appartenenti alla dieta mediterranea.

Grazie a Chiara Ascone, la prima ospite di “Radici”, per foto e parole.